Alcuni parlamentari sono in trattative con un gruppo di hacker guidati da Denis “Jaromil” Roio che propone una versione più aperta e trasparente di piattaforma per i voti on line rispetto a Rousseau
- Domenica Davide Casaleggio, gestore dell’infrastruttura tecnologica del Movimento Cinque Stelle e presidente della associazione Rousessau, ha pubbicato un post sul Blog delle Stelle per contestare la trasformazione in partito. Il Movimento ha criticato l’iniziativa
- L’hacker Jaromil propone un modello alternativo, non proprietario, simile alla piattaforma Decidim usata a Barcellona
- Finora le votazioni su Rousseau sono sempre state prevedibili nell’esito, tranne una sul tema immigrazione e questo toglie incentivi all’iscrizione al Movimento
Il Movimento Cinque stelle ha iniziato a cercare una alternativa alla piattaforma gestita da Davide Casaleggio, Rousseau. Nei giorni scorsi Denis Roio, il famoso hacker italiano noto come “Jaromil”, si è messo a disposizione del movimento con una iniziativa chiamare Open Rousseau che vuole offrire una piattaforma decisionale open source, quindi non di proprietà di un singolo soggetto, e trasparente. Jaromil ne ha già parlato con alcuni deputati e senatori del movimento che hanno espresso interesse.
Anche se la decisione sul software non è la sola necessaria e dovrebbe essere accompagnata da una riforma del processo decisionale e delle sue regole, una prima soluzione tecnica per i Cinque stelle potrebbe essere l’utilizzo del software di democrazia online Decidim (in italiano decidiamo) sviluppata sotto l’egida del comune di Barcellona guidato da Ada Colau. Proprio per Ada Colau lavorava come assessore alle Smart cities Francesca Bria, indicata dal governo Pd-Cinque stelle per la guida del Fondo innovazione.
Decidim ha il vantaggio, al contrario di Rousseau, di essere un programma a codice aperto, più sicuro e con una serie di funzionalità avanzate che non sono disponibili su Rousseau. “A Casaleggio mandiamo un ultimatum - dice Jaromil - O rende subito disponibile Rousseau in open source oppure siamo pronti a mettere a disposizione del movimento una piattaforma alternativa”
La sua gestione aziendalista del Movimento da parte di Casaleggio è molto lontana o dalla promessa di trasparenza iniziale. Dice Jaromil che “è inaccettabile che il software utilizzato per decisioni che influenzano il governo siano prese usando una piattaforma proprietaria che non garantisce trasparenza e integrità”. Casaleggio rivendica di difendere i valori democratici del Movimento. Ma i numeri dimostrano che il Movimento 5 Stelle si è spesso rivelato più opaco e verticistico dei partiti tradizionali. Per superare queste contraddizioni è giusto che i 5 stelle procedano a una ristrutturazione organizzativa, affinché appelli vuoti alla “partecipazione” non continuino a essere una scusa per fare decidere sempre le solite persone.
“ll Movimento Cinque stelle è nato proprio con alcune promesse agli iscritti e agli elettori che io non ho dimenticato e non posso sconfessare. La prima di queste è che non saremmo mai diventati partito, non solo come struttura, ma soprattutto come mentalità": il tono del post pubblicato a sorpresa da Davide Casaleggio sul blog delle stelle, organo ufficiale del Movimento, dà il senso dello scontro interno alla formazione fondata da suo padre e da Beppe Grillo, nell’ormai lontano ottobre 2009. Ma è anche un concentrato della visione proprietaria della famiglia Casaleggio nelle sue varie proiezioni (la Casaleggio Associati e la Fondazione Rousseau) riguardo al Movimento.
Casaleggio junior contesta il fatto che il Movimento Cinque stelle abbia avviato un processo di riforma interna, che dovrebbe passare per i cosiddetti Stati Generali, che sembrano destinati a trasformarlo in una struttura più organizzata, simile a un partito. Per il presidente della Fondazione Rousseau, che gestisce la piattaforma decisionale del movimento, si tratta di un tradimento dei valori fondativi. Nella visione di Casaleggio, infatti, da una parte c’è il partito, che “crede nella delega a un rappresentante”, dall’altra il Movimento dove “il potere si esercita dal basso e si trovano tutti i modi per garantire la trasparenza e la condivisione delle scelte tra gli iscritti”. Questa visione, che Casaleggio condivide con Alessandro Di Battista e altri dissidenti che vogliono un ritorno alle origini, segna uno scontro difficilmente sanabile con il gruppo parlamentare e con il “reggente”, Vito Crimi, determinato a superare gli evidenti problemi organizzativi. Ma si tratta di una battaglia che ha poco a che fare con “i valori” ma con diverse visioni dell’organizzazione politica.
Il sogno di Gianroberto Casaleggio, padre di Davide, era quello di un movimento senza rappresentanti e senza struttura in cui “ognuno vale uno”. Serviva a segnare la distanza dal carrierismo e la corruzione della classe politica, nel momento di maggiore indignazione verso un centrosinistra e centrodestra sempre più indistinguibili (il famoso Pdl e il Pd meno L, come diceva Grillo). Era il corollario di quel sentimento anti-casta tuttora maggioritario, come confermato dal referendum costituzionale. Tuttavia la sua implementazione pratica non ha generato una nuova Atene democratica formato web, ma quella che la teorica americana Jo Freeman chiamava “la tirannia dell’assenza di struttura”.
Si tratta di un male tipico di molti movimenti di protesta, che seppur privi di una struttura formale con incarichi ben delineati, vedono spesso sorgere posizioni di potere informale, tanto più deleterie proprio perché sono inamovibili. Ne è esempio il ruolo di Casaleggio, proprietario di una ditta e capo di una fondazione, che peraltro hanno sede allo stesso indirizzo, le quali in teoria forniscono servizi a pagamento al Movimento, ma di fatto ne influenzano la linea politica e ne gestiscono il sistema di votazione, spesso in modo ben poco trasparente.
Se nelle consultazioni condotte sulla piattaforma Rousseau, in un sistema plebiscitario, c’è un certo grado di dibattito interno, per esempio nello sviluppo di proposte legislative, le decisioni dirimenti sono spesso partite da Beppe Grillo e Casaleggio. È vero che poi tali “proposte” vengono sottoposte alla base degli iscritti, ma senza un vero dibattito e con una indicazione chiara di quale sia l’opzione consigliata.
C’è poco da sorprendersi dunque, se spesso i referendum online hanno spesso visto maggioranze schiaccianti, anche superiori all’80 per cento. Solo in pochi casi, come nel voto sull’abrogazione del reato di immigrazione clandestina nel 2014, la base del movimento si è espressa contro i voleri del vertice.
Da qui deriva la disillusione di molti sostenitori del movimento, lo stallo nella partecipazione sulla piattaforma e l’incapacità di fare crescere gli iscritti. Del resto, se iscriversi serve solo a partecipare a votazioni con risultati scontati, a cosa serve esattamente la tanto celebrata partecipazione?
Paolo Gerbaudo ha appena pubblicato per Il Mulino Partiti digitali – L'organizzazione politica nell'era delle piattaforme
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